ROMA – Questa volta ha vinto lui. Gabriele Paolini, il disturbatore per eccellenza della TV italiana, l’uomo che ha fatto della video-intrusione un’autentica missione di vita, è stato prosciolto dall’accusa di aver disturbato quattro collegamenti esterni in diretta del tg Rai.

Noto anche per la sua personale campagna in favore dei preservativi (innumerevoli le sortite con condom e cartelli in favore del loro uso alle spalle degli inviati), Paolini è stato ripetutamente condannato condannato in passato per quelle improvvise apparizioni, che tanto infastidiscono i giornalisti. I giudici, infatti, gli hanno inflitto ammende per svariate migliaia di euro oltre a una pena detentiva di tre mesi, poi sospesa.

Ma adesso la tendenza che lo vedeva spesso soccombere in tribunale sembra essersi invertita. E non è un caso che la svolta sia arrivata per mano di Gennaro Francione, magistrato romano già noto per aver assolto alcuni giovani accusati di violazione del copyright in nome di un diritto sociale costituzionalmente garantito di diffusione della cultura, anche attraverso il peer to peer.

Nella motivazione della sentenza relativa al caso Paolini si legge tra l’altro: “Il giornalista televisivo operante in strada deve accettare le intrusioni alla Paolini perché sono esse stesse cronaca in diretta di quanto avviene tra la gente, che spesso anzi utilizza quelle dirette per dire la propria nel bene (esultanze in occasione di gare sportive, ad esempio) e nel male (con striscioni, grida, slogan per contestare un avvenimento direttamente o indirettamente connesso a quanto nel resoconto del cronista viene detto)”.

Nel paragonare il “profeta del condom” (come Paolini si autodefinisce) ai giullari medievali, ai futuristi, ai situazionisti, ma anche ad Andy Warhol e Guy Debord, Francione ricorda, inoltre, il monito rivolto ai media televisivi dalla Commissione di vigilanza servizi radiotelevisivi, la quale, nel “Documento di indirizzo sul pluralismo” del 1997, sottolinea “la necessità di garantire ai cittadini un’informazione non solo passiva a 360 gradi, ma anche attiva, contribuendo direttamente alla creazione dei palinsesti televisivi”. Una necessità tanto più avvertita quando si parla di Rai, ossia di un servizio televisivo del popolo, il quale paga un canone e ha un “diritto reale di accesso che si esprime soprattutto come diritto a non essere esclusi dall’informazione attiva”.