«Libération»: con la sua crociata antipreservativo ha contribuito ai tre milioni di morti in Africa. Critiche al pontificato di Wojtyla anche da organizzazioni femministe e religiosi progressisti.

L’Aids ha causato tre milioni di morti, cancellato una generazione, ucciso economie già moribonde, l’onda lunga di quel vuoto angoscerà il continente africano per un secolo. L’ostinato rifiuto di Giovanni Paolo II ad accettare «il peccato» salvatore della contraccezione, si chiede il britannico «Guardian», non ha contribuito a condannare quei malati, quei bambini? Non si uccide anche con il rigore dottrinario praticato fino all’estremo, fino a non accorgersi della realtà? Gli fa eco il francese «Libération»: «L’epidemia è iniziata quasi in concomitanza con il suo pontificato, ed è stata la più grande catastrofe sanitaria della storia umana.

Per un quarto di secolo la linea del Papa polacco verso questo virus non ha avuto cedimenti, ha continuato a ribadire che la castità era l’unico modo sicuro e virtuoso per fermare il contagio. Le conseguenze sono state drammatiche». Sono le stesse domande aspre che si pongono molte organizzazioni che si battono contro l’epidemia. «La chiesa rimpiangerà un giorno le posizioni dogmatiche di Giovanni Paolo II in tema di preservativi – accusa «Act Up», una delle sigle francesi più famose e attive si è resa così corresponsabile della morte di milioni di uomini donne e bambini».

Emergono, nel diluvio delle celebrazioni e degli encomi, anche toni cogitabondi, chi tira fuori dai ripostigli le dissonanze, le stonature: inevitabili in un pontificato che ha assorbito la storia di un quarto di secolo e ha voluto essere, intrepido, nel cuore dei suoi drammi.

Il tema forte è lo stridore, sconvolgente per molti, tra il linguaggio usato per la morale sociale e politica, i diritti umani, e il linguaggio invece refrattario sulla morale privata, la sessualità , l’aborto, i gay, il ruolo della donna nella chiesa. Che poi si è tradotto nel rigore che ha staffilato la teologia scomoda.

Come ricorda con rimprovero sommesso il brasiliano padre Pedro Casaldaliga, l’erede di Boff: «E’ stato davvero duro con i suoi servitori progressisti». René Rémond, francese, storico che si proclama orgogliosamente cattolico, è ancora più duro: «Le sue prese anche di posizioni, accettabili sul piano dei valori. mancavano di compassione e di spirito di misericordia, Come potevano le suore violentate durante le guerre, ad esempio nei Balcani, capire che l’aborto era loro vietato? E che il loro capo spirituale che pure portava un messaggio d’amore, non dava prova di un minimo di comprensione».

E’ soprattutto quella che qualcuno chiama la «cecità» di fronte alla Grande Epidemia a sventagliare rilievi e rimpianti. L’Africa, continente dei massacri tribali, ha molto amato il Papa, infaticabile messaggero dei diritti umani senza etichette. Ma sul tema della sessualità ammette di non averlo compreso.

«Bisogna riconoscerlo. Purtroppo è stato un ostacolo oggettivo per noi che cerchiamo di rallentare l’Aids». Nathan Geffon è portavoce di «Treatment Action Campaign», nel Sud Africa dove l’epidemia uccide anche le speranze nate dalla fine dell’apartheid: «Speriamo che il nuovo Papa sia meno conservatore». Pierre Somse di «Onusi» dal Congo dove solo il silenzio dei massacri nasconde le cifre della malattia sceglie un’amara ironia: «Qui le paure del Papa sono inutili: nessuno ha la possibilità di comprarli,i preservativi.

E per fortuna le chiese locali, africanizzate, gli hanno disobbedito». Il Papa condannava l’emarginazione dei malati, invitava alla pietà eroica del curare. Ma poi rifiutava di disfare la antica intelaiatura delle concezioni cattoliche. «Nessuno gli ha chiesto certo di promuovere il preservativo, si chedeva solo che non lo condannasse. La sua ostinazione si è rivelata catastrofica», afferma Cristian Saoult della «Associazione francese per la lotta contro l’Aids».

Soprattutto dagli Stati Uniti arrivano invece le voci di dissenso dei movimenti femministi, spesso cattolici. Come Joana Manning, fondatrice di «Catholic Organisation for Renewal»; «In 25 anni ha restaurato la concezione di una donna sottomessa, la femminilità incarnata nella Madonna. Esaltava l’ideale femminile e poi ci negava la pillola e ci vietava di diventare preti». E degli omosessuali, altro capitolo difficile del pontificato: «Non ci ha mai teso la mano che avremmo voluto stringere», accusa «Rainbow Sash Movement», organizzazione di omosessuali cattolici.

Tornano, più sfumati, anche i rilievi di chi, nella grande geografia dei viaggi papali, incontra soste giudicate pericolose, rievoca strette di mano che, viste con gli occhi del poi, hanno le tinte della complicità. E’ l’ansia ecumenica, quasi affannosa, del dialogo anche di quello impossibile che talvolta gli ha fatto commettere errori, sostengono molti commentatori. Come il viaggio a Cuba del 1998, ad esempio. Il profeta che aveva torto il collo al totalitarismo comunista andò a rendere visita all’ultimo suo bastione e la critica papale all’embargo americano fu una boccata d’ossigeno per un regime agonizzante.

Castro ripagò con le condanne a morte degli oppositori. E ancora in Africa: lo scambio di idee, in Vaticano, con Hassan Al Tourabi, il maestro di Bin Laden, l’eminenza grigia del fondamentalismo omicida e internazionalista. Secondo Patrick Sabatier un incontro logico: «Ultraconservatore, il Papa ha incarnato il ritorno ai tempi del bastone, all’opera in tutti gli integralismi più o meno violenti, induista, islamico e cristiano».