Con una sentenza lunga oltre 40 pagine si è chiusa la lunga e difficile causa contro Valentino Talluto, il 35enne malato di HIV che aveva contagiato consapevolmente oltre 30 donne, intrattenendo in nove anni oltre 200 rapporti non protetti. La più giovane delle sue “vittime” aveva 14 anni e per lei era la prima volta. Per Talluto, non ci sono stati sconti: secondo i giudici della Terza Corte d’Asisse d’Appello deve trascorrere in carcere 22 anni.
HiV e contagio: cosa prevede la legge italiana
Qualcuno per Talluto voleva l’ergastolo ma in Italia questo non è possibile. C’è un vuoto normativo mai colmato, pertanto tutti i Valentino Talluto (o Claudio Pinti) della situazione potranno essere accusati “solo” di lesioni personali gravissime. Affinché si configuri il reato di “epidemia dolosa”, l’unico che prevede l’ergastolo, il vecchio Codice Penale (scritto molto prima che si conoscesse l’HiV) agli artt. 582-583 del Codice Penale prevede che il morbo sia diffuso “nello stesso tempo in un territorio più o meno vasto”. Nel caso dell’HiV manca la simultaneità.
Le applicazioni della giurisprudenza del Codice Penale ai casi di contagio da HiV hanno però permesso di fare almeno dei distinguo. Il grado di colpa cambia se chi contagia lo fa più o meno consapevolmente: se nel corso di un rapporto protetto si è rotto il preservativo e il partner infetto avvisa l’altro del suo stato di salute in tempo per la PEP (Profilassi post-esposizione), non si configura addirittura alcun reato.
Viceversa, quando un sieropositivo contagia un partner ignaro con rapporti non protetti, il reato è penale (lesioni dolose aggravate).
Nessun obbligo, per chi ha l’HiV, di dirlo al partner
C’è un aspetto da chiarire, su cui la legge si espressa in modo palese: l’unica condotta richiesta alla persona PLWHA (la persona che vive con HIV) o portatore di altre malattie a trasmissione sessuale, è quella che prevede l’utilizzo del preservativo al fine di evitare il contagio. Trattandosi di un contraccettivo barriera efficace nel 99,9% dei casi, il preservativo è l’unico dispositivo in grado di evitare qualsiasi forma di trasmissione dei virus che si contraggono durante i rapporti che prevedono lo scambio di fluidi.
Al contrario di quanto molti credono, il sieropositivo che adotta ogni precauzione non ha invece alcun dovere di informare il partner del proprio stato di salute, a meno che non si verifichino “incidenti di percorso” che mettano a repentaglio la persona ignara. Il perché è presto detto.
HiV, Privacy e Tutela dei dati personali
Trattandosi dei dati più sensibili tra i dati sensibili – diciamo pure dati “sensibilissimi”, quelli sullo stato di salute sono considerati dal Garante della Privacy praticamene “inviolabili”. Perciò chiunque volesse conoscere le vostre condizioni di salute a vostra insaputa o senza il vostro consenso, dovrebbe dimostrare ad un giudice di avere un interesse di rango pari a quello dell’eventuale malattia di cui vuole sapere! Questo significa, nel caso di HiV, che nessuno, nemmeno un partner stabile a meno che non lo si metta a rischio esigendo rapporti non protetti, è tenuto a chiedere ad una persona: “sei malato?” La cosiddetta disclosure, il “coming out” sulla sieropositività, è una scelta personale.
Chi lo sa, tanto meno, è tenuto a divulgare il dato, pena multe salate o addirittura il carcere.
Anche a seguito dell’entrata in vigore dell’ormai celebre Gdpr (nuovo regolamento europeo sulla privacy), le informazioni sulla salute restano di competenza del loro “titolare”: solo il malato ha diritto a divulgarle se ne avverte il bisogno.
HiV e sicurezza professionale sui luoghi di lavoro
Sin dal 1970, oltre un decennio prima che il mondo conoscesse l’HiV, la legge italiana (L.300/1970, meglio nota come Statuto dei Lavoratori) stabilisce il divieto tassativo di “accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente”. A ribadire il principio in modo ancora più chiaro, è stata emanata la Legge 135/90 art. 6, cha poi vietato espressamente al datore di lavoro lo svolgimento di indagini volte ad accertare lo stato di sieropositività dei lavoratori. Con la sentenza 218 del 1994, la Corte Costituzionale, tuttavia ha dichiarato illegittimo l’art. 5 comma 3 della L.135/90 nella parte in cui esclude accertamenti relativi all’Hiv anche laddove possano esserci attività che comportino rischi per la salute di terzi.
La Corte Costituzionale ha dunque affidato al legislatore il compito di individuare queste attività, ma a distanza di anni questo elenco di mansioni non esiste ancora.Allora come oggi, le richieste vengono valutate caso per caso. Resta obbligatorio, per accedere alle forze armate ed essere ammesso a tutti i bandi del Ministero della Difesa, sottoporsi ad un test HiV, che in caso di positività determina incompatibilità con il posto di lavoro, sia che si tratti di iscriversi alla banda o all’Accademia, sia che si tratti di correre o fare attività sportiva con i colori di una forza dell’ordine. Interpellato da Lila sulla motivazione discriminatoria, il Ministero della Difesa ha risposto semplicemente rivendicando quanto deciso.
In sunto: “il personale già assunto va ridimensionato nelle mansioni, e ai bandi possono concorrere solo persone con un test Hiv negativo”.In quasi tutti gli altri casi, lo stato di sieropositività di un dipendente on può essere motivo né di discriminazione, né tanto meno di licenziamento
Hiv e diritti sanitari
A cosa ha diritto chi è affetto da HiV?Dal 1990, dall’emanazione della già citata Legge n. 135 del 5 giugno, anche l’Italia si è dotata di tutta una serie di strumenti per contrastare la diffusione dell’HiV. Con quella legge si stabili che “Gli operatori sanitari che, nell’esercizio della loro professione, vengano a conoscenza di un caso di AIDS ovvero di un caso di infezione da HIV, anche non accompagnato da stato morboso, sono tenuti a prestare la necessaria assistenza, adottando tutte le misure occorrenti per la tutela della riservatezza della persona assistita”.
Conseguentemente i reparti ospedalieri di Malattie Infettive furono potenziati e dotati di laboratori, strumentazioni e personale idoneo a trattare ogni caso in tutta sicurezza per il personale sanitario e nella massima riservatezza del paziente.
Il decreto ministeriale del 28 maggio 1999, n 329, aggiornato nel 2001, stabilisce inoltre che l’HiV rientra tra quelle “condizioni e malattie croniche e invalidanti che danno diritto all’esenzione dalla partecipazione al costo per le correlate prestazioni sanitarie incluse nei livelli essenziali di assistenza”. Questo significa cioè che ogni tipo di terapia, antiretrovirale o per la cura delle cosiddette “infezioni opportunistiche” (causate da microrganismi che normalmente non colpiscono le persone con un sistema immunitario sano, ma che invece si possono sviluppare nei soggetti sieropositivi), per chi è affetto da HiV è totalmente gratuita. Il diritto alla cura e all’assistenza non implica tuttavia un dovere: per quanto l’HiV abbia ricadute potenziali su molte persone, è necessario il consenso esplicito della persona interessata al trattamento. In caso di rifiuto, non è.
Hiv, controllo e prevenzione:
Un ultimo capitolo importante del rapporto tra HiV e legislazione è quello relativo alla prevenzione e al sistema di sorveglianza, di cui l’Italia si è dotata dal 2008. Negli anni ’90, solo i casi di HiV che viravano in AIDS, venivano tenuti in un apposito registro dal Ministero della Sanità, mentre oggi, anno dopo anno e regione per Regione, è possibile stilare statistiche precise, sulla cui base realizzare strategie altrettanto precise.
Ogni tre anni, il Ministero stila anche un Piano Nazionale AIDS (quello attualmente in vigore riguarda gli anni 2017-2019), che delinea un percorso locale per il raggiungimento degli obiettivi che agenzie internazionali (come l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, UNAIDS e ECDC) fissano per tutti i paesi. Il Piano contiene una serie di azioni per:
- Facilitare l’accesso al test e l’emersione del sommerso• Garantire a tutti l’accesso alle cure
- Favorire il mantenimento in cura dei pazienti diagnosticati e in trattamento
- Migliorare lo stato di salute e di benessere delle persone PLWHA
- Coordinare i piani di intervento, oggi frammentati su base regionale, sul territorio nazionale
- Tutelare i diritti sociali e lavorativi delle persone PLWHA
- Promuovere la lotta allo stigma nei confronti di chi soffre di HiV e l’accesso alla PreP per i partner sani
- Promuovere l’Empowerment e coinvolgimento attivo della popolazione chiave (quella più a rischio, anche tramite la distribuzione di profilattici gratuiti)
Il Piano nazionale di interventi contro Hiv e Aids è ambizioso, al punto che nell’arco di un triennio è difficile portarlo a termine anche nel più roseo dei contesti. Ma questo le istituzioni lo sanno. Senza questo libro bianco fondamentale, una che segna il cammino su tutti i fronti da seguire per sconfiggere l’HiV da qui a poche generazioni, nessuno andrebbe da nessuna parte. Bisognerebbe solo leggerlo più spesso e, magari, prenderlo ancora un po’ più seriamente.
PDF del Piano Nazionale AIDS aggiornato Fonte: salute.gov.it
(L’immagine sopra è tratta da uniticontrolaids.it)