Il preservativo diventa oggetto da museo. Per ammirare gli oltre 600 pezzi della singolare collezione è necessario recarsi a Cleveland (Usa), sede del Dittrick Medical History Center. A questo istituto Percy Skuy, già presidente della società farmaceutica Jannsen Ortho e fondatore della Hall of Contraception di Toronto (Canada), ha donato la sua immensa collezione di anticoncezionali provenienti da ogni epoca e luogo.
Stupisce la creatività dei “peccatori” che non volevano pagare le conseguenze delle proprie intemperanze amorose: spugne, cappucci cervicali, succo di limone, ma anche sterco animale e foglie di acacia intrise nel miele che, fermentando, producevano l’acido lattico ancora oggi utilizzato in alcune creme spermicide. Tutti metodi “fatti in casa”, quasi sempre a uso e consumo della donna, escogitati nell’antichità per scongiurare o interrompere le gravidanze indesiderate.
«Abbiamo cominciato a collezionare negli anni Sessanta», spiega Walter Masanic, direttore degli affari pubblici per la Ortho-McNeil Inc., la compagnia responsabile della galleria allestita in Canada. «Allora le persone non raccoglievano queste cose – prosegue – e perciò avevamo solo pochi oggetti recuperati da qualche studio medico. Ma poi la voce si è sparsa e abbiamo cominciato a ricevere pezzi da tutto il mondo: Asia, Europa, Sud America. Ora il nostro è un museo internazionale».
Nell’esposizione è possibile scoprire le origini della contraccezione, che risalgono addirittura a un aneddoto narrato nella Bibbia. In un passo della Genesi (38:9) si legge infatti come Onan praticasse il coito interrotto: “Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; così, ogniqualvolta si univa alla moglie del fratello, spargeva sul suolo il suo seme per non dare una posterità al fratello”.
Sistemi più affidabili, tuttavia, erano disponibili anche in epoche lontane. Secondo un manoscritto medico chiamato Il papiro di Erbes (1550 a.C.), alle donne veniva consigliato di macinare insieme datteri, acacia e miele, per poi intingere nell’impasto che ne derivava un batuffolo di cotone grezzo da inserire nella vagina. Pur apparendo primitiva, tale mistura zuccherosa risultava solitamente efficace.
I primi diaframmi apparvero invece nel secolo scorso. Erano realizzati con le sostanze più varie, incluso lo sterco di elefante o coccodrillo. Un sistema disgustoso, non c’è che dire, ma ancor più difficile è immaginare la difficoltà di introdurre nei genitali femminili il cosiddetto pessario a blocco. Trattasi di un cuneo di legno intagliato e con lati concavi, non dissimile da alcuni fermaporte. Pare che i vittoriani fossero amanti di questo attrezzo, che fu però condannato nei primi anni Trenta come strumento di tortura.
La collezione menziona poi i “protettori del pene”, ossia gli antenati dell’odierno preservativo: dalle membrane animali in voga presso gli antichi egizi alle guaine in fine tessuto utilizzate da Giacomo Casanova, passando per quelle, sempre in tessuto, introdotte dal dottor Condom. Quest’ultimo sarebbe stato un medico alla corte del focoso re Carlo II d’Inghilterra e a lui si dovrebbe il termine “condom”, con cui il profilattico è chiamato nei paesi di lingua anglosassone.
L’ala più estesa della galleria è comunque dedicata agli anticoncezionali femminili. Se ne contano circa 300 modelli. Tra i più originali, uno fatto a mano proveniente dal Marocco, uno che sembra un bastone da pastore e un altro ricavato da un gioiello prezioso a forma di corona.
I visitatori saranno infine sorpresi nell’apprendere che pure i contraccettivi orali risalgono a tempi lontanissimi. Nella Cina di 4.000 anni fa, per esempio, le donne bevevano un intruglio a base di mercurio per non rimanere incinte. E che dire del “torcibudella” (una specie di whisky) fermentato con testicoli di castoro essiccati, trangugiato dalle fanciulle della provincia canadese del New Brunswick?
Mezzi di dubbia efficacia, certo, ma non si può negare che gli uomini di ogni epoca e luogo le abbiano provate davvero tutte per evitare di fecondare le proprie compagne.