Hiv, aumenta l’età dei nuovi infetti: è boom di 30enni e 40enni, senza grandi differenze tra omosessuali (in particolar modo maschio – maschio) ed eterosessuali.
A rivelarlo, sono gli scienziati della Fondazione ICONA, una delle principali realtà internazionali nel contesto della ricerca su HIV ed epatite virale. Icona, che ha riunito medici, aziende e giornalisti a Roma lo scorso 2 febbraio per fare il punto sulla situazione dei nuovi infetti in Italia, conta oggi 52 centri e una Coorte di ben 17mila pazienti sieropositivi, che vengono arruolati prima di iniziare ogni tipo di terapia antiretrovirale: grazie a questo numero impressionante di volontari, è uno dei pochi osservatori al mondo in grado di fornire dati attendibili sull’efficacia dei primi trattamenti d’urto nei pazienti sieropositivi.
Nell’incontro svoltosi a Roma gli specialisti della Fondazione hanno argomentato sul rischio, spesso sottovalutato, che si corre nei rapporti eterosessuali tra adulti: dopo i trent’anni pochi pensano che un partner di bella presenza, magari ben affermato nella vita e sul lavoro, possa aver contratto il virus anche molti anni prima in precedenti relazioni, stabili o occasionali. Così uomini e donne, più vanno in là con gli anni, più costruiscono un universo di fiducia fittizio nei confronti del partner. E, manco a dirlo, questo universo non prevede né preservativo (anche perché spesso si tratta di uomini e donne legittimamente in cerca di figli), né test Hiv, nemmeno al primo rapporto.
Hiv, in Italia diagnosi sempre più tardive
«L’aspetto più preoccupante è che circa la metà di coloro che arrivano alla diagnosi di HIV sono già molto immunodepressi, – spiega Antonella d’Arminio Monforte, Professore Ordinario di Malattie Infettive all’Università di Milano e Presidente della Fondazione Icona. – Addirittura il 20% è rappresentato da soggetti con grave immunodepressione (con conte di CD4 inferiori alle 200 cellule/ml) o con AIDS conclamato. La costanza negli anni di questi numeri e la diffusione del fenomeno in numerosi Paesi europei testimoniano l’elevata percentuale di diagnosi tardive, ragione alla base della presenza dei cosiddetti untori, coloro che sono inconsapevoli di essere affetti dall’infezione e non prendono le adeguate precauzioni. Questo è l’aspetto più negativo dei dati. La diffusione del virus si origina infatti molto più da questa categoria (oltre che da coloro che pur consapevoli di essere affetti dall’infezione non seguono alcuna terapia) che da soggetti affetti da HIV ma sotto trattamento e con bassa carica virale».